Il Bianco restituisce la Fortezza volante
UN BOMBARDIERE americano caduto nel '46, esploso in frammentie subito inglobato dal ghiacciaio; un gruppo di amanti della montagna che dagli anni 70 si imbatte in resti di aereo e di corpi umani, si interroga e cerca; le famiglie che lentamente riscoprono la storia dei loro cari quando la guerra era finita e la grande ansia del non ritorno si era placata. Ha tante facce questa storia che riemerge da un ghiacciaio dell'Alta Val Veny, Massiccio del Monte Bianco,a cominciare da quella della figlia del maggiore Lawrence Cobb. Anne, che non ha mai conosciuto il padre perché non era ancora nata al momento dell'incidente, sino a pochi anni fa disponeva di una sola lettera con cui nel '47 si comunicava alla famiglia che quel B-17 considerato disperso si era in realtà schiantato contro l'ultimo ostacolo, l'unica cima che sulla sua traiettoria avrebbe potuto arrestare il suo volo. Ma anche quella degli appassionati italiani e francesi (geologi, semplici escursionisti, ex-ufficiali, guide alpine) che dal '75 in poi non hanno mai smesso di cercare e ora chiedono alle istituzioni locali di organizzare una commemorazione e far erigere una stele alla memoria ai rifugi Elisabetta Soldini e Robert Blanc.
Da questa vicenda, che con gli anni sta diventando un ricco quaderno di storia, emergono anche le facce in bianco e nero degli ufficiali americani immortalati in una cerimonia del 47, quando, ad un anno dall'incidente, una pattuglia di chasseurs des Alpes di Bourg Saint Maurice si imbatté nei primi resti, la notizia rimbalzò in America e i militari della Usaf (United States Air force) vennero a celebrare i loro morti. Ed eccola, la storia del bombardiere "Fortezza Volante", non molto diversa in fondo da quella degli arerei civili indiani dispersi sul Monte Bianco anche se finora del tutto ignota. Il primo novembre del 1946, il B-17 (numero di serie 43-39338) ancora in servizio in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale che apparteneva all'americano 61st Troop Carrier Group, cadde sull'Aiguille des Glaciers, in alta Val Veny. All'epoca infatti molti bombardieri, disarmati dopo la fine del conflitto, venivano ancora utilizzati in compiti tatticologistici di trasferimento uomini e merci. L'aereo, partito da Napoli diretto a Londra, era un quadrimotore di circa 32 metri di apertura alaree 23 metri di lunghezza.A bordo, otto passeggeri, fra i quali tre ufficiali, due tenenti colonnelli e un maggiore. Le cause dell'impatto non si conoscono ancora (un vuoto d'aria? un'avaria?) ma secondo l'unico testimone dell'epoca, la guida alpina Edoardo Pennard allora giovanissimo, quel giorno il tempo era pessimo e non è di secondaria importanza ricordare che in quel periodo gli aerei non erano dotati di sofisticati strumenti di navigazione, né esisteva la scatola nera. Di certo si sa che l'aereo terminò il suo volo molto vicino alla cresta di confine (cresta sud-ovest dell'Aiguille des Glaciers) ed esplodendo contro la parete finì in mille pezzi sia sul versante italiano sia su quello francese. Dopo la commemorazione del '47, durante la quale i resti ritrovati furono probabilmente inumati sotto il nome del comandante, Hudson Hutton Upham, i ghiacci continuanoa custodire la storia del B-17 e del suo equipaggio. La curiosità si riaccende nei primi anni '70 quando, trasportati a valle dal Ghiacciaio dell'Estelette, in forte ritiro, i primi resti dell'aereo affioranoa monte del rifugio Elisabetta.
«Allora ero un ragazzo di 14 anni che amava la montagna - racconta il geologo Gianni Boschis che ora coordina le ricerche - un giorno era un pezzo dell'elica, un altro un frammento del motore, un altro ancora un grosso pneumatico di cui non ci si spiegava la provenienza». Le ricerche accelerano quando anche il Glacier des Glaciers, il ghiacciaio sul versante francese, comincia a spingere più in giù altri resti. I francesi prendono a cuore la storia e grazie all'impegno di Francis Raout, allora alpino dell'esercito francese e ora ufficiale in congedo appassionato ricercatore e narratore di storie umane e di guerra via web, nasce una rete di appassionati che da allora non smette di cercare e raccogliere testimonianze fotografichee documenti. Adesso, sul versante francese Frédéric Blond sta ricostruendo virtualmente l'aereo, mentre su quello italiano Gianni Boschis, ha promosso la causa di una commemorazione pubblica che renda omaggio alle otto vittime: «Un atto dovuto, considerato che questi soldati prima di quell'incidente, combatterono anche per la nostra libertà».
SARA STRIPPOLI